19 Marzo 1931: sono novanta gli anni che ha compiuto oggi e che a causa della pandemia non abbiamo potuto festeggiare come sarebbe stato giusto.
Lo avremmo fatto con musica, con danze, con risate e con abbondanti libagioni come gli è sempre piaciuto e lo faremo. Gli ultimi di questi anni l’ho visto accudire con dedizione completa sua moglie tenendole la mano fino alla fine. Prima di allora aveva trascorso con lei sessantacinque anni di vita in comune costruendo una famiglia, crescendo quattro figli, assistendo alla venuta al mondo di nipoti e
pronipoti e conquistandosi un posto nella società. La vita, lo si avverte di più quando è lunga, dispensa momenti di felicità che ripagano per tutto il resto che si eviterebbe volentieri. Gli ultimi anni, quelli della vecchiaia, quelli che dovrebbero essere dedicati al riposo dopo una vita di lavoro e fatiche, sono stati i più duri. La malattia cambia il carattere di chi la vive e obbliga a molte rinunce a chi assiste. Lui, alla realtà non è mai sfuggito (le tentazioni per farlo sono state tante), mantenendo lo stesso atteggiamento stoico di un Enea che pur sapendo che non avrebbe mai raggiunto la meta, ha comunque sempre combattuto, facendo con impegno cose che non avrebbe voluto fare e facendosele pure piacere.
Così ha imparato come si diventa consapevoli della vita facendo tesoro di quello che gli capitava addosso. Non ha mai scordato che la vita doveva essere comunque affrontata a fronte alta, accettando tutto, anche la lotta nel fango, anche l’umiliazione, anche la sconfitta come una parte del gioco. Per questo non ha mollato mai e non molla neppure oggi. il giorno in cui i decenni vissuti e compiuti sono diventati nove, una stagione durante la quale più di qualcuno dice “adesso mi basta”. E così, dopo la morte della sua compagna si è rialzato ed è ripartito.
Gli anni si fanno comunque sentire, ma la mente è ancora lucida, le decisioni vengono prese in autonomia come quella, contraria a qualsiasi norma di buonsenso ma legata ad una promessa, di continuare a sostenere economicamente un pezzo di cuore che a sessant’anni non cammina ancora con le proprie gambe. Tutto al prezzo di una grande amarezza, di una grande preoccupazione per il futuro e quella, più materiale ma concreta, di esaurire la propria disponibilità economica.
Negli anni gli ho visto creare e coltivare una attività professionale di grande soddisfazione senza aver mai mirato al profitto. L’ho visto dedicarsi all’arte medica con passione totalizzante insegnandomi che i pazienti sono persone che hanno bisogno di noi e della nostra dedizione a tempo pieno. Dopo i successi professionali, nel corso della sua vita c’è stato anche il momento per dedicarsi con trasporto a restituire alla collettività ed ai colleghi ciò che aveva costruito privatamente negli anni. Da qui l’impegno pluriennale nell’associazioneprofessionale di categoria che ha presieduto a livello regionale per un decennio. Altrettanto tempo ha dedicato all’attività presso l’Ordine dei Medici facendolo sempre con spirito di servizio.
Lui, solamente con l’esempio, senza molte chiacchere, mi ha trasmesso i valori che guidano la mia vita personale e professionale; onestà, dedizione, modestia, spirito di sacrificio, voglia di vivere in pieno: così ho imparato come si affrontano le cose.
LUI È MIO PADRE.