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LA SINDROME DELLA SINEDDOCHE E L’APPARECCHIO ORTODONTICO


Ugo d'Aloja - 16 Settembre 2021 - 0 commenti

La sineddoche è una figura retorica che utilizza una parola dal significato più o meno ristretto per descriverne un’altra. Per intenderci: quando diciamo “beviamoci un bicchiere” noi berremo il contenuto, non il contenitore. Quando diciamo di “aver salvato la pelle”, ciò che si salva siamo noi nella nostra interezza; non la parte per il tutto (che è la sineddoche). Potrei continuare con altri esempi, ma credo non serva, è già chiaro. 

 

Quando ero al liceo, mentre studiavo con interesse le figure retoriche che tutti noi usiamo quotidianamente, tra le quali le metafore, le iperboli, le antitesi, gli ossimori, non avrei mai immaginato che proprio una di quelle figure retoriche potesse addirittura essere causa di una sindrome professionale. Eppure, ora che sono un ortodontista adulto, con la sindrome della sineddoche mi ci confronto ogni giorno. Di questo non mi sono reso conto subito, ma man mano nel tempo, mentre la mia coscienza professionale si definiva. 

 

All’inizio del proprio percorso professionale ogni giovane medico è inesperto; perciò tutto concentrato sulla necessità di imparare la tecnica. Anche in ortodonzia, che è fatta di tanta manualità e tantissima pratica, spesso complesse, l’impadronirsi della tecnica, che i nostri teorici corsi di studio universitari non sempre forniscono adeguatamente, assorbe in pieno. Concentrati nell’acquisire la manualità necessaria, i giovani ortodontisti talvolta si trovano a perdere di vista l’insieme. A questo punto la loro mente si focalizza sull’apparecchio ortodontico, la parte, a discapito dell’insieme, il paziente. Eccoci servita la sindrome della sineddoche.  

È chiaro che la sineddoche è solo uno strumento linguistico; tutto dipende da come la si usa. Nel caso dell’ortodonzia è diventata prassi comune quella di fare riferimento all’apparecchio e non alla cura. È patrimonio comune che la cura, ovvero la terapia, sia una cosa assai più complessa; essa prevede la diagnosi, il piano di trattamento e la sua realizzazione (talvolta utilizzando anche apparecchi…). Le parole hanno sempre la loro importanza, di conseguenza il loro uso improprio, anche se a scopo di semplificazione, è destinato a influenzare sia la consapevolezza rispetto al proprio lavoro da parte degli ortodontisti che la considerazione verso di esso da parte dei pazienti e dei colleghi. Perché? Perché se si ritiene che il nostro lavoro di ortodontisti consista solo nel mettere apparecchi, quando in realtà la nostra professione è quella di curare le persone, come fa ogni buon medico, allora ci troviamo di fronte ad una stortura. 

 

Ma allora, perché opporsi a una stortura che in fondo appare così innocente? Perché le parole sono pietre.Anche quando vengono scagliate senza l’intenzione di offendere o di sminuire, nel momento in cui colpiscono fanno male. Quello che ferisce è lo svilimento a cui viene assoggettata la nostra professione di ortodontisti ogni volta che la si definisce solo per una sua parte. 

 

Ma non basta: c’è qualcosa che ferisce di più. Si tratta della totale indifferenza della nostra categoria al riguardo. È come se, in fondo, vada bene così a tutti. In questo modo va a finire che si arriva ad accettare senza reagire che l’ortodonzia venga sminuita. Dietro a tutto questo c’è addirittura qualcosa di peggio: c’è l’intenzionalità, consapevole o inconsapevole che sia non importa, rispetto all’uso che si fa di questa sineddoche da parte dei nostri colleghi non ortodontisti che dei servizi degli ortodontisti si avvalgono. A loro va benissimo che l’ortodontista sia visto solo come il tecnico dell’apparecchio, se fosse valorizzato in pieno il ruolo dell’ortodontista faremmo ombra a chi di Ortodonzia non sa nulla. Ma è ai pazienti che dobbiamo aprire gli occhi; ai pazienti si perdona tutto, si sa, così come lo si fa al grande pubblico. Il cliente ha sempre ragione. Ma né gli uni né gli altri sanno di cosa stiamo parlando. Per questo nei confronti dei pazienti e del grande pubblico abbiamo l’obbligo di informare e formare, oltre che di rassicurare, affinché comprendano la grande differenza tra chi esercita da medico e chi no. 

 

Questa missione, noi ortodontisti, quando siamo posti nella condizione di lavorare in prima persona in maniera esclusiva la svolgiamo così bene che i nostri migliori apostoli diventano proprio i nostri pazienti. Sono loro che dopo averci visti all’opera, comprendono appieno il verbo dell’ortodonzia e lo diffondono con entusiasmo ad altri pazienti con il passa parola. Ma il verbo, lo diffondono davvero tutti gli ortodontisti? Si direbbe di no. Spesso non sono messi in condizione di farlo. Spesso non si mettono loro per scelta nella condizione di farlo. Ma noi ortodontisti non lo possiamo pretendere dai dentisti e da altre figure professionali, loro di ortodonzia non sanno nulla, la loro attività nei confronti dei pazienti affetti da malocclusione è quella di subappaltare il lavoro a qualche consulente (parleremo più nel dettaglio di questo in un prossimo post). Gli unici da cui lo possiamo pretendere è dalla categoria degli ORTODONTISTI, gli unici che dovrebbero essere davvero interessati ad apparire come una categoria riconosciuta pienamente a livello sociale per quanto di positivo è in grado di fare per il benessere pubblico a partire da quello dei bambini

Perché non accade sarà il tema di un prossimo post.

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