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IL PESCE NEL MARE. LA NICCHIA ECOLOGICA PER L’ORTODONTISTA


Ugo d'Aloja - 8 Ottobre 2021 - 0 commenti

C’è stata una remota stagione adolescenziale in cui all’improvviso mi proclamai maoista. In quegli anni in Cina il popolo cinese era alla fame, infuriava la rivoluzione culturale della “Banda dei Quattro” e che, in un domani, ci sarebbe stato“il grande miracolo economico” cinese ,nessuno se lo immaginava.
Nel resto del mondo, come nel nostro paese, soffiava il vento della contestazione giovanile; fu così che mi feci crescere i capelli ed indossai l’Eskimo verde con la finta pelliccia bianca. Mio zio Carlo, per Natale, intenzionato a farsi beffe del mio fervore, mi regalò il libretto rosso di Mao. Si trattava della traduzione dal cinese dell’antologia ufficiale degli scritti e dei discorsi politici del Grande Timoniere: il presidente Mao Tse-Tung (oggi si scrive Mao Zedong).
Tentai di leggerlo. Per un quattordicenne come ero allora – sono sicuro di non essere stato una mosca bianca – si trattò di un’impresa disumana. Il testo era di una pesantezza immane. Qualsiasi cosa dovesse significare, ognuno aveva una visione personale del futuro, si parlava di rivoluzione, di lunga marcia, ma soprattutto di relazioni presso le sessioni del comitato centrale, dell’assemblea del popolo e di altre prolisse ed involute tematiche. Nonostante tutto ciò vissi anni di grande passione, anni di gioia e di rivoluzione.
Avevo vissuto quella stagione con purezza di cuore ed entusiasmo: chi può dire di aver vissuto davvero senza essere stato un rivoluzionario da giovane?


Poi, superata la temperie ormonale, puntai i miei interessi altrove. Ma qualcosa, delle letture risalenti a quella che ai nostri attuali occhi appare un’era storicamente remota, è rimasto sotto traccia. Qualche concetto, qualche frase, qualche sentenza, tra le tante che che lessi allora, periodicamente riemerge dai meandri della mia memoria così come fa una balena che ogni tanto risale dalle profondità dell’oceano per prendere fiato. Non “avere paura del grande disordine sotto il cielo” perché questa è una condizione favorevole al cambiamento nel senso migliorativo, è una attitudine che tuttora cerco di mantenere. C’è ancora molta verità nel “colpirne uno per educarne cento”, anche se sicuramente non nei modi e con i fini che Mao intendeva. Tra le sentenze che ogni tanto si ripropongono in questi giorni di riflessione sulla professione di ortodontista c’è quella che dice che “il rivoluzionario deve muoversi tra le masse come un pesce nell’acqua”. Il contesto della professione ortodontica è ben diverso da quello maoista, ma ci sono alcune dinamiche che presentano delle analogie.

Per me in quanto ortodontista le masse attuali sono i miei pazienti, soprattutto lo sono tutte le persone che frequentano il mio studio. Si tratta di pazienti, di genitori, di figli, di famiglie, di singoli individui che si presentano per affrontare e risolvere le più svariate problematiche ortodontiche e disfunzionali. Ogni giorno. Si tratta di un ambiente dinamico, soggetto a cambiamenti continui, a costanti sfide sempre diverse; per questo esso può essere definito un ambiente con caratteristiche sempre mutevoli, liquide. Come è il mare. All’interno di questo mare ci nuoto io, c’è il professionista, c’è l’ortodontista che vivendo la propria professione con passione la fa diventare una cosa propria creando una simbiosi tra sé stesso ed il lavoro quotidiano. Questo è un mare in cui mi trovo a mio agio. Si tratta del più bel posto in cui mi possa trovare ogni giorno di lavoro. Il pesce nel mare in cui mi sono trasformato durante gli anni di vita professionale, si arricchisce umanamente, giorno dopo giorno, intrattenendo nuove relazioni con i pazienti, con i bambini, con chi esprime una necessità da soddisfare, con chi ha una cura da portare a termine.


Si tratta di costruire la relazione terapeutica in cui io ci sto bene. Non credo che quella del medico debba essere definita una missione; è una definizione di altri tempi, che oggi dovrebbe essere riservata a chi non esercita professionalmente. Non credo neppure che per essere un buon medico ci voglia del talento naturale, il talento di solito non aiuta se poi non è supportato da altre
qualità. Piuttosto sono convinto che quello che serva di più sia la dedizione. Una dedizione continua nel tempo, una perseveranza, una persistenza diretta al raggiungimento dello scopo prefisso. Questa è la ragione per cui sono convinto che per esercitare l’ortodonzia in maniera veramente completa lo si debba fare nel proprio studio. Uno studio, vera nicchia ecologica, che si adatterà man mano alle esigenze dei propri pazienti. Uno studio che sarà il mare all’interno del quale l’ortodontista pesce si muoverà sempre più a proprio agio a condizione che lo faccia con dedizione e passione quotidiana prolungata nel tempo. Rivolgo questo messaggio ai giovani ortodontisti che vivono una condizione di grande pericolo professionale perché sono attratti dalla sirena della consulenza. La consulenza ad un altro studio è come ricevere un subappalto. È remunerativo nell’immediato, ma non costruisce un futuro. La Professione dell’ORTODONZIA in Italia avrà un futuro solo se ci saranno PROFESSIONISTI, cioè Ortodontisti riconoscibili per nome e cognome all’interno del territorio dove esercitano come competenti in materia. Per riuscirci devono gestire in prima persona se stessi ed i propri pazienti.

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