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L’arte del fallimento in ortodonzia


Ugo d'Aloja - 25 Novembre 2022 - 0 commenti

Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere”; è il titolo di una bella canzone Beat cantata dai Rokes (e da Lucio Dalla) al festival di San Remo del 1967. Nonostante siano passati cinquantacinque anni da allora, ogni tanto il ritornello di quel brano musicale risuona ancora nella mia testa suscitando ondate di nostalgia. Ero un bambino allora, che non capiva nulla della sofferenza di un uomo sconfitto in amore non rassegnato alla sua sorte, che cantava la strofa con grande divertimento.

Non è facile per nessuno accettare di aver perso; anche se capita spesso a tutti di perdere. È un errore grave darsi la croce addosso in questi casi perché in realtà fallire è un bene; è solo dai fallimenti che possiamo imparare qualcosa dalla vita. Non impariamo un granché dai nostri successi perché mentre il nostro ego è indaffarato a crogiolarsi nell’autocompiacimento non rimane tempo per l’autocritica. Da piccoli, il rifiuto di esaudire un nostro desiderio, un insuccesso scolastico, una sconfitta al torneo parrocchiale, un rifiuto da parte di qualcuno che ci piace, sono tutti fallimenti più o meno grandi.

Accade di vivere questa sensazione prima o poi, ma la reazione non è la stessa per tutti. C’è chi vive il fallimento con frustrazione e lo interpreta come un insuccesso definitivo, c’è chi non si riprende più e si autocommisera. Invece la brutale consapevolezza degli effetti dei nostri errori che emerge limpidamente quando abbiamo sbagliato qualcosa, è l’inizio della risalita. Ma dobbiamo aver voglia di vedere le cose da questo punto di vista. Non ci si può rialzare senza essere prima caduti. A furia di cadere e poi di rialzarsi ci si impratichisce. Chi si nega a questa sana ginnastica è destinato a perdere una buona occasione di crescita. Lasciamo che il fallimento scorra dentro di noi, lasciamo che penetri nel nostro profondo, lasciamo che il sale bruci le nostre ferite; quel sale le guarirà rendendoci più forti.

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